Il Vigile del Fuoco, insieme alla sua squadra ospite qualche settimana fa anche del Festival di San Remo, è stato il primo ad entrare nell’hotel abruzzese travolto dalla valanga di neve. Quello che segue è il suo racconto di quella esperienza.
di Alessia Sette
La disastrosa vicenda di Rigopiano ha acceso ancora una volta l’attenzione sulle catastrofi derivanti dai fenomeni naturali, associati talvolta ai fallaci errori umani. Giorni di lacrime, speranze, morti, salvataggi, fatica e coraggio. Attimi in cui si è perso tutto ed altri in cui si ha avuto la forza e la possibilità di continuare a vivere. Il tutto reso possibile da tutti coloro che a livello nazionale si sono recati sul posto, nonostante le difficoltà atmosferiche, e hanno fatto il possibile, sfiorando l’impossibile per la vita. Tra i tanti che hanno offerto soccorso, in prima linea c’è stato anche il casellese Mauro Cavallo, Vigile del Fuoco, il quale con estrema professionalità e sensibilità è stato il primo ad infilarsi nei resti dell’hotel travolto dalla valanga e che ha permesso il salvataggio di diverse persone.
Chi è Mauro Cavallo a livello professionale? “La passione per questo mestiere è nata quando ero piccolo, lo svolgeva già mio papà e frequentando le varie caserme sono rimasto affascinato da quei camion rossi che sfrecciavano. Così, quando è arrivato il momento di andare a fare il militare ho chiesto di poterlo fare nei Vigili del Fuoco. Alla fine del 1981 mi sono congedato, e ho iniziato a fare i richiami come volontario. Nel novembre del 1982 ho vinto il concorso per entrare permanente e quindi, 34 anni fa a oggi, sono andato a Roma come effettivo, per cui l’1 marzo del 1983 ho iniziato la mia carriera come pompiere. Attualmente sono capo reparto esperto, il massimo grado che posso raggiungere nel mio cammino, di cui vado fiero”.
Parliamo della tragedia di Rigopiano. “L’intervento a Rigopiano è spuntato per puro caso, perché in realtà noi eravamo già in viaggio per recarci a Teramo quando è successa la tragedia. Come regione Piemonte e come comando di Torino, siamo tra i pochi comandi in ambito nazionale preparati nei soccorsi su neve e ghiaccio. Alle ore 22 del 18 gennaio siamo stati contattati telefonicamente dal centro operativo di Roma, che ci ha cambiato la destinazione: non più Teramo, bensì Pescara, nella fattispecie a Penne e da lì ci avrebbero indirizzato verso Rigopiano dove era avvenuta la tragedia. Arrivati in piena notte a 10 km dal posto la strada ci siamo dovuti fermare per via della neve che ostruiva la strada. Così quattro persone si sono avviate con gli sci, mentre noi siamo partiti con le motoslitte con rimorchio e carico con fusti di gasolio da portare alla fresa che nel frattempo si era fermata e non poteva più scavare. Arrivati alla fresa mancavano ancora 2 km per arrivare all’hotel, quindi alle prime luci dell’alba, un elicottero del comando di Pescara è riuscito a decollare ed è venuto a prendere il personale, tra cui noi, portandoci su a Rigopiano. Abbiamo, quindi, raggiunto il luogo dell’operazione verso le 7 circa e ci hanno scaricato a 300 m da dove si presumeva ci fosse l’hotel, perché in realtà non c’era più, e da lì abbiamo praticamente nuotato con la neve al petto per arrivare fino a ciò che erano i resti della struttura. Abbiamo scavato per tutta la giornata del 19 gennaio, infilandoci in tutti i posti possibili e immaginabili: c’eravamo noi, il team User del Lazio e il team User della Toscana. Le speranze di trovare qualcuno in vita erano praticamente nulle, perché erano passate 30 ore dall’incidente e nessuno aveva dato cenni di vita. Il 20 gennaio, mentre stavamo scavando, il nostro funzionario ha interpellato Fabio Salsetta: il superstite dell’hotel, che svolgeva la funzione di manutentore, per farsi spiegare come era fatta la struttura, perché essa era invisibile ai nostri occhi. Seguendo le sue indicazioni, hanno deciso di scavare in un punto dove nessuno aveva ancora lavorato. Così, dopo aver utilizzato le sonde da valanga siamo riusciti a trovare e a sentire un qualcosa che sembrava materiale in legno. Due metri e mezzo di neve più in basso, a furia di scavare, è stata raggiunta la tettoia: a quel punto con una motosega hanno praticato un foro di 60 cm di lato per poter guardare all’interno”.
A quel punto è intervenuto lei? “Il funzionario mi ha chiamato e mi ha chiesto cosa ne pensassi: siccome io sono abilitato e addestrato per accedere all’interno delle macerie, ho guardato e gli ho risposto ‘ci passo’. Sono riuscito ad infilarmi e ho incominciato a scavare. Gli altri intanto, mi facevano sicurezza da fuori e mi fornivano assistenza: mi sono poi addentrato all’interno della struttura per circa 4 metri. Dopodiché, scavando e spostando il materiale vario, ho trovato una fessura che puntava verso il basso. A quel punto, ho fatto quello che si fa di prassi, un call out, cioè un richiamo vocale per vedere se qualcuno riuscisse a rispondere: ho lanciato il richiamo e dal nulla, è arrivata una voce che gridava ‘Aiuto siamo qui’. Subito pensavo di non avere capito bene, ero fermo e immobile, poi ho ripreso fiato e ho richiamato di nuovo per avere una certezza, e quella voce mi ha di nuovo risposto. Allora ho chiesto quanti fossero, e la donna mi rispose di essere lei con il figlio, ma che era anche in contatto vocale con altre persone senza sapere dove si trovassero. Mi ha indicato la stanza del bigliardo, pensando che io conoscessi la struttura e soprattutto che essa fosse ancora come loro la ricordavano, nella quale si trovava sua figlia Ludovica con un altro bambino che stavano giocando. In realtà, in quella stanza sono stati recuperati tre bambini. Sono poi arretrato e ho avvisato chi era fuori dell’avvenuto ritrovamento: quello che è successo fuori non lo so, ma mi hanno raccontato che è stato come lanciare una bomba e sono arrivati tutti di corsa. Io, intanto, ho continuato a scavare per aprirmi un cunicolo verso il basso e a un certo punto mi sono sentito toccare da un mio collega degli User della Toscana, Carmelo Riganò, per darmi una mano. In due siamo riusciti a scendere di un paio di metri, rimanendo sempre in contatto vocale con la donna, Adriana. Eravamo ormai vicini: io, Carmelo e Riccardo Leoncini un altro capo squadra di Firenze, abbiamo spostato le macerie e siamo riusciti ad arrivare a vedere le persone. Adriana e il bimbo erano bloccati sulla seduta di un divano. Abbiamo aperto un varco e facendoli avvicinare a noi li abbiamo fatti uscire ed è la scena che tutti hanno visto in tv. Scavando poi, siamo riusciti a trovare gli altri bambini e le altre tre persone. Sono arrivati gli altri User e ci hanno dato il cambio, e facendo una stima siamo stati sotto le macerie un po’ di ore. Dopo che siamo usciti ci siamo ripresi dall’emozione, perché subito siamo stati freddi, ma poi tra pacche sulle spalle e abbracci, la commozione ha preso il sopravvento. Poi, abbiamo ripreso a scavare per cercare il modo per raggiungere Francesca, Giorgia e Vincenzo: i tre superstiti con cui eravamo in contatto. E da lì la fine della vicenda”.
Cosa le rimane di questa vicenda? “A livello professionale, l’esperienza di Rigopiano, è stato il coronamento di una carriera e di giorni e giorni di addestramento. Indubbiamente, tutti gli addestramenti fisici e mentali che si fanno sono serviti al momento. L’accaduto mi ha dato la voglia di continuare ad allenarmi, per essere ancora più pronto per un altro evento traumatico come quello, se dovesse mai capitare. A livello umano è stato il premio per tutte quelle volte, che per un istante, non siamo riusciti ad arrivare in tempo per salvare vite, per questione di pochi ma decisivi secondi. Si è trattata di un’emozione fortissima: sono in continuo contatto con le persone salvate insieme con gli altri colleghi. Questo, infatti, è un lavoro di team e sono stato fortunato ad essere stato chiamato dal mio funzionario, per entrare tra le macerie e dare la vita per la vita”.