Chiese ancora chiuse, per don Stefano e don Claudio la priorità è tutelare le comunità


Il nuovo Decreto del Premier Giuseppe Conte ha scatenato molte polemiche all’interno della Conferenza Episcopale Italiana. Si parla di una riapertura dei luoghi di culto per l’11 maggio, ma resta un’ipotesi. Molto più pacati, invece, i toni dei parroci di Borgaro e Caselle.

DON STEFANO TURI, PARROCO DI BORGARO

di Giada Rapa

Illustrato nella sera nel 27 aprile, il nuovo decreto del premier Giuseppe Conte relativo alla Fase 2 per il contenimento del virus non permette ancora la riapertura delle chiese, se non per la celebrazione dei funerali, che potranno comunque svolgersi con un numero limitato di 15 soggetti. Una decisione che ha scatenato numerose polemiche all’interno della Conferenza Episcopale Italiana, che ha anche parlato di “violazione della libertà di culto”.

Decisamente più pacate le reazioni dei parroci di Borgaro e Caselle, don Stefano Turi e don Claudio Giai Gischia, che anzi pongono l’attenzione sulla necessità di tutelare prima di tutto la salute, non solo dei fedeli, ma dell’intera comunità. “L’impossibilità di celebrare la Santa Messa a porte aperte rimane un grande dolore per noi pastori, ma siamo allo stesso tempo coscienti che in questo momento storico, davanti ad un imprevisto sconosciuto e pericoloso come il Covid-19, il bene per tutta la comunità è quello di evitare occasioni di contagio. Penso che a rischio non sia la fede, ma i cristiani, i credenti che, venendo a contatto tra di loro, potrebbero essere infettati. Un pericolo che coinvolge soprattutto le persone anziane, che costituiscono il maggiore nucleo di frequentatori della chiesa” spiega don Turi. “In attesa di un miglioramento della curva epidemica, noi sacerdoti di Borgaro continuiamo il nostro servizio attraverso i social, che possono raggiungere un buon numero di fedeli e fare sentire nelle loro case la voce di Cristo e della Chiesa per donare loro conforto e vicinanza”.

DON CLAUDIO GIAI GISCHIA PARROCO DI CASELLE

Dello stesso avviso anche don Claudio da Caselle, secondo il quale alcune affermazioni sono state un po’ fuori luogo. “Ripartire con calma non significa rifiutare le celebrazioni. Conosco preti missionari in Sudan che riescono a celebrare la Messa ogni due mesi, ma non per questo la comunità della quale si occupano è meno viva. Come sacerdote sono il primo a sentirmi a disagio per questa situazione e aprirei anche subito, ma non dobbiamo dimenticare che queste norme sono il risultato di ricerche accurate da parte di medici e scienziati e rispettarle non significa non avere fiducia nel buon Dio. Senza contare che la riapertura dovrà avvenire rispettando determinate condizioni, come la distanza e la sanificazione costante degli ambienti, che al momento non siamo in grado di garantire” commenta don Claudio, invitando i fedeli a riscoprire il senso della preghiera in famiglia.


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