Ci sono domande di fronte alle quali non possiamo rimanere in silenzio, soprattutto se a farle sono i nostri piccoli. Saper accogliere il dubbio e avere strumenti idonei per raccontare i fatti nel modo giusto, è un compito di fronte al quale noi adulti non possiamo sottrarci. Ecco alcuni consigli.

di Alice Rabai, studio Life & Mind Psiicologia di Mappano
In questo periodo molti bambini hanno imparato cosa significhi la parola “guerra”. Alcuni, purtroppo, vivendola in prima persona, altri, vedendo tutto ciò che i mass media ci propongono: immagini, filmati, notizie, testimonianze. Ma è giusto parlare di “guerra” coi bambini? In che modo? Il termine stesso suscita emozioni molto forti di paura, angoscia, rabbia e tristezza. Tutte emozioni che i bambini hanno già sperimentato nella loro vita, anche se in situazioni diverse; proprio per questo motivo, secondo gli esperti, è sempre preferibile utilizzare il termine “guerra” nella sua accezione nuda e cruda.
Per fare ciò è importante rispettare il nostro interlocutore e accogliere il dubbio e la domanda con un atteggiamento empatico. Potrebbe essere utile, per noi adulti, immedesimarci in lui, magari pensando a una situazione che da piccoli ci ha spaventati; solo attraverso il recupero di quell’emozione, possiamo riuscire a capire meglio quali sono i pensieri e gli stati d’animo del nostro bambino. Inoltre, è importante riportare la verità senza lasciare troppe cose in sospeso in quanto il rischio è che l’immaginazione infantile, per natura molto vasta, rischi di trasformare le informazioni spesso false e ridotte, in sentimenti come il senso di colpa, fino a creare scenari che possono essere addirittura peggiori della realtà.
Non tutti i bambini recepiscono le informazioni alla stessa maniera, soprattutto se l’età è diversa. Un bimbo delle elementari è in grado di comprendere cosa sta succedendo all’esterno, ma è ancora molto immaturo quindi, prendendo come esempio il conflitto attuale tra Russia e Ucraina, è necessario spiegare che un Paese ha invaso un altro Paese e che questo sta causando tristezza e sofferenza visto che le persone non possono fare quello che facevano prima. Utilizzare un libro illustrato o un racconto può essere d’aiuto per partire da uno strumento creato apposta per lui o in alternativa, può essere necessario utilizzare una storia scritta dal bambino stesso. Così facendo, possiamo insegnargli che anche lui può contribuire alla pace, magari chiedendo scusa all’amichetto col quale discute spesso o evitando di prendere in giro i compagni di scuola.
Con i ragazzini più grandi, è opportuno affrontare l’argomento iniziando a spiegare le ragioni (se di ragioni si può parlare) del conflitto, riportando proposte alternative alla guerra come esempi di pace o situazioni in cui, a seguito di un’azione bellica, si è arrivati a un compromesso tra le parti. Inoltre, dare spazio alle testimonianze dei coetanei può avere un grande impatto perché possono servire a comprendere meglio ciò che sta succedendo, sfruttando la capacità di immedesimazione e l’empatia. Tutto ciò insegna al bambino a trattare il prossimo anche a partire da eventi di vita quotidiana mettendo sempre in evidenza l’importanza di raggiungere uno stato di pace una volta terminato lo scontro.
Amare e rispettare un bambino vuol dire, innanzitutto, insegnargli a sperimentare tutte le emozioni, anche quelle che solitamente, cerchiamo di evitare perché considerate negative come la rabbia, la tristezza e la paura. Se dovessimo notare che, dopo aver narrato al bambino alcuni eventi dolorosi, egli inizia ad avere crisi di ansia, episodi di paura o tristezza estrema, è fondamentale fargli capire che tutto ciò che sta provando è normale e, stargli vicino attraverso gli abbracci e la rassicurazione; fondamentali per fargli capire che noi siamo lì per sostenerlo. Aiutare un bambino a esprimere in maniera corretta la sofferenza e darle un senso è la cosa più sensata e responsabile che un adulto possa fare.